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Retail 2024, schiaccia la frizione (e dimmi chi sei)

02/01/2024

Retail 2024, schiaccia la frizione (e dimmi chi sei)

La frizione o, meglio, l’eliminazione dei punti di frizione nel processo d’acquisto, è il refrain del 2023 e, con ogni probabilità, lo sarà anche nel prossimo futuro. Dall’omnicanalità, intesa come pluralità di accessi al cliente, all’effettiva sintesi dei canali di vendita in un’esperienza unica e senza “attriti” per chi compra, il passo è lungo, ma necessario. La tecnologia, naturalmente, è il tramite per crearla e, anzi, chi guarda a cosa succede nei mercati più avanzati capirà che è bene pensarsi tanto tecnologi quanto venditori, e di corsa. Intanto, la comunicazione si fa retail essa stessa, e meno male che ci abbiamo pensato per tempo. Oltre a offrire una merce o un servizio, occorre dire al pubblico chi sei e cosa fai: “purpose” è anche più importante di ”frizione”. Si vende e si compra, insomma, ma si deve provare a stare al mondo decentemente.

“Gli esiti della competizione sul mercato appaiono legati a doppio filo alla profondità e alla tempestività delle innovazioni tecnologiche, unico tramite certo alla gestione della precarietà e ai nuovi modelli di distribuzione ibrida e sostenibile” (Retex, gennaio 2023) 

Per chi fa dell’innovazione la ragione d’essere, potrebbe sembrare paradossale richiamarsi allo stesso incipit di un anno fa. Eppure, proprio l’incertezza si fa riferimento utile e costante, per chi opera nel retail, e l’uso della tecnologia si conferma il solo mezzo sicuro, nella navigazione a vista, per assicurarne la rotta. L’emergenza sanitaria è stata un repentino cambio di marcia per il settore, ponendone all’ordine del giorno il cambiamento e la velocità di realizzazione. Solo poco tempo dopo il COVID, McKinsey reputava tre mesi del 2020 l’equivalente di dieci anni nella penetrazione digitale dei consumatori e delle imprese. Se, prima, correre rappresentava un vantaggio competitivo, oggi è l’unico modo possibile di stare sul mercato e di pensarsi nel futuro. 

Il 2023

Le stime di chiusura del retail globale, nel 2023 e in valore, si aggirano più o meno marcatamente intorno ai 30 trilioni di dollari, con una crescita maggiore o minore di quattro punti percentuali sul 2022 (chiuso a +7% sul 2021). Discussione aperta, naturalmente, sulla corretta lettura dei dati e sulla composizione dei fattori di crescita, anche in considerazione dell’inflazione che ha penalizzato i volumi.   

Il retail fisico gode di buona salute: in Europa, nelle previsioni di chiusura, più dell’86% del commercio passa per i negozi, e l’Italia guida la tendenza (in attesa dei dati di quest’anno, per il 2022 era superiore all’89%). L’andamento varia, naturalmente, a seconda del paese o del canale di vendita considerato. Solo per fare riferimento all’eCommerce di prodotto, per esempio, è interessante notare come, in Italia, la penetrazione sul totale del retail nazionale sia ferma, per il terzo anno consecutivo, all’11%, diversamente dal progresso della vendita online di servizi. In altri paesi, il tasso di crescita è un altro (nel vicino Regno Unito, per esempio, ha raggiunto quasi il 30%), prefigurando una penetrazione mondiale al 20%, circa, nel 2024.  

La natura tecnologica del retail

A leggere le cronache del settore, nel 2023 l’intelligenza artificiale ne è stata la nota caratteristica e ingombrante, e anche nel 2024, e chissà per quanto ancora, sarà all’ordine del giorno. A onor del vero, finora, il retail non è ancora al passo con settori più "maturi", quali finanza, scienza e “difesa”, ma si tratterà soltanto di definirne, nel tempo, le dimensioni dell’investimento e le aree di applicazione, dalla gestione dei processi tipici ai servizi di front end.  

Del resto, ChatGPT, già pochi mesi dopo l’annuncio, poneva, incontestabilmente, all’attenzione comune l’uso delle intelligenze generative nel modo di fare commercio e rapportarsi al consumatore. L’apprendimento automatico che ne è alla base è già, per sua natura, la  premessa a customer experience sempre più sofisticate, grazie alla capacità di produrre facilmente contenuti di personalizzazione estrema del ciclo d’acquisto, definita in base alle interazioni e ai percorsi dei singoli clienti, in qualsiasi punto di contatto . 

Non sarà, questa, la panacea di tutti i mali, ma parte significativa del progresso tecnologico che sta plasmando il retail mondiale e che sancisce l’importanza del cambiamento culturale: la tecnologia non può più essere considerata semplice supporto al business, sono  i retailer a dover diventare aziende tecnologiche. Nei mercati più avanzati, è già così. Nel 2021, citavamo il caso di Kroger, un colosso del retail statunitense (circa 3000 punti vendita sul territorio), e del suo progetto (iniziato prima della pandemia) di innovazione digitale presso la Northern Kentucky University. La visione di un retail ”tecnocentrico” (definizione di Chris Hjelm, vicepresidente esecutivo) enfatizzava la capacità digitale e tecnologica di Kroger, rivendicata come “parte del DNA aziendale”, e palese, addirittura, nelle eccellenze di 8451°, la struttura proprietaria di data management. 

Da anni, la somma di fattori diversi ha radicalmente cambiato la scena del retail mondiale: con il commercio online, l’omnicanalità, i cambiamenti sostanziali della relazione con i compratori, la complessità della catena di fornitura, è cresciuta la pressione sulle marginalità. Per difenderla, occorre puntare sulla funzione tecnologica, ponendola a premessa del proprio agire. 

Complessità e “frizione” 

Le strade per le quali si arriva alla scelta d’acquisto sono, ormai, innumerevoli ed eterogenee. Chi compra, oggi, passa per fasi diverse di ricerca, considerazione e consapevolezza, sia in negozio, sia online. E i diversi comportamenti d'acquisto, peraltro, non sono più riconducibili a questo o quel canale, né esclusivi di piattaforme specifiche. La complessità del customer journey è in costante aumento, rendendone sempre più difficili la tracciabilità e il controllo.  

L’essenza dell’omnicanalità, quindi, non sta più nel solo presidio di vari canali di vendita e relazione con il consumatore, ma nel loro utilizzo integrato, finalizzato a un retail ibrido, iperpersonalizzato, fluido, senza ostacoli e rigidità di sorta, applicabile a ogni punto di contatto e indipendentemente dalle caratteristiche di questo. Ogni fase della distribuzione ne è interessata: una struttura organizzativa antitetica ai silos per la visione integrata del canali, la strategia del dato per l’unicità dell’informazione tra i vari touchpoint, la gestione congiunta delle operations (stock, ordini, strutture di evasione), gli allestimenti del negozio.  A sintesi di tutto questo, possiamo servirci di un neologismo ormai affermato: frictionless 

La comunicazione è retail 

Come fare? Di sicuro, c’è solo lo sforzo di partenza: individuare e comprendere le origini, gli incroci della domanda e, per quanto possibile, anticiparne gli sviluppi tra vendita al dettaglio, media digitali e comunicazione che, nelle sue varie forme, sta assumendo una centralità di fatto per chi fa retail. 

Non a caso, l’integrazione di Retex e Connexia, due anni or sono, fu dettata dalla volontà di combinare competenze e talenti, in ambiti diversi ma complementari, a supporto del cambiamento e determinanti nei nuovi scenari di mercato:  trasformazione digitale, comunicazione, creatività, media, dati e martech. Servizi digitali a supporto di una pratica retail che, nell’innovazione tecnologica, è comune a tutti gli ambiti d’intervento e risposta alla domanda più disomogenea.  

Il caso dei retail media  ne è una riprova. La spesa pubblicitaria globale per i media retail andrà a velocità doppia rispetto a quella tradizionale, oltre il 10% nel 2024, proponendosi quale terzo canale pubblicitario in sostituzione, entro pochi anni, della televisione. Nulla di cui stupirsi, ancora McKinsey riporta che i media per la vendita al dettaglio forniscono un ritorno da tre a cinque volte maggiore della spesa pubblicitaria sui media tradizionali. I media digitali, nel retail, sono una soluzione vantaggiosa per i retailer, che possono servirsi dei negozi come un canale mediatico che attrae i budget dei brand, generando nuovi ricavi. Lo sono anche per i brand, che attivano un nuovo canale di comunicazione diretta con chi compra, nel  momento cruciale, con vantaggi commerciali che si assommano all’aumento di visibilità. 

Il senso delle cose 

Nota di chiusura, obbligatoria. La trasformazione digitale, per sua natura , ha conferito grande importanza alla dimensione sociale, esistente o meno (e, allora, sono guai), di qualsiasi mercato o impresa. Nel retail, in particolare, la tecnologia ha posto chi compra in un ruolo ancora di forza, decisivo nei criteri che regolano la sua spesa e, più in generale, la sua relazione con chi vende.  Assortimento, prezzo e comodità sono importanti, ma ancor di più lo è la vicinanza col brand che, prima ancora di essere scelto, deve dimostrare di meritarlo, dando un senso alle cose (“Retex, redefine the meaning of retail”, appunto). Inutile citare statistiche a conforto di questo, un giro in rete è più che sufficiente per trovare tutti i numeri e le opinioni del caso.  

In questo contesto, il modo di gestire la pratica ESG fa la differenza. Si tratta di passare da una dimensione della sostenibilità vicina alla filantropia, in cui si destina parte dei profitti a cause ambientali o sociali, alla gestione imprenditoriale di questa, facendone parte integrante e regola di funzionamento del business. Alla fine, per trovare il modo giusto di stare sul mercato, occorre capire come stare al mondo. Non è facile, ma va fatto. 

Michele CapriniHead of content