La risonanza internazionale del caso deve indurre, per me, riflessioni molto più ampie del fatto di cronaca, delle accuse di Timnit Gebru e delle difese addotte dal CEO di Google, Sundar Pichai. Le implicazioni di quanto successo riguardano tutti noi, il nostro modo di vivere e di lavorare, le responsabilità che ne derivano e le conseguenze per chi prenderà il nostro posto.
L’incidenza delle tecnologie avanzate vede l’Europa all’1,7 del PIL, la Cina al 2,2%, gli Stati Uniti al 3,3%. L’Italia è solo all’1,2% (*). La nostra lettura dei fatti dev’essere, quindi, necessariamente lungimirante, perché il basso sviluppo digitale del nostro paese ci limita nella consapevolezza della natura e della portata dei problemi.
L’etica di molta parte dell’intelligenza artificiale è un tema tutt’altro che consolidato, la cui definizione delle premesse e dei limiti è ben lontana dalla condivisione comune. La velocità dello sviluppo tecnologico solleva enormi preoccupazioni sulle modalità e i principi necessari a rendere i sistemi evoluti trasparenti, comprensibili e corretti.
Le linee guida della Commissione Europea per un’intelligenza artificiale affidabile, aggiornate a settembre da uno studio del centro studi del Parlamento europeo, presentano indicazioni concrete per lo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale leciti ed etici, vincolati a una prospettiva antropocentrica.
Di questo scenario fanno parte le iniziative di regolamentazione del governo americano; quelle dell’Europa in cerca di autonomia e identità (vedi GDPR per la protezione dei dati); quelle della Cina, tese a esportare i suoi modelli concorrenti. Assisteremo a una lotta senza esclusione di colpi.