Il primo cittadino milanese ha espresso preoccupazione per le conseguenze possibili dello smart working. Credo che questo vada inteso come un’opportunità, perseguita durante l’emergenza, che non può sostituirsi indiscriminatamente alla normalità. Il riferimento è, in primo luogo, alla costrizione che deriva dalla mancanza di relazioni dirette, non surrogate tecnologicamente, tra le persone costituenti un corpo aziendale. E, conseguentemente, ai rischi di marginalizzazione che, per loro, ne derivano.
La riduzione dei costi, come effetto indotto dallo smart working, fa gola a molti, che lo vedono come modello organizzativo obbligatorio e definitivo. Attualmente, però, questa avviene tramite un puro trasferimento di costi dall’azienda al dipendente. Credo che, in presenza di un obbligo, venga meno la natura stessa dello smart working che vuole a premessa fiducia, libertà e responsabilità finalizzate a massimizzare il contributo del dipendente.
In definitiva, posso pensare ai vantaggi teorici di questa pratica per le persone: flessibilità oraria, maggiore autonomia, risparmio economico e di tempo (ad esempio la riduzione dei tempi di commuting). Dell’interesse per le aziende, ho già detto, ma sono convinto che dietro le lusinghe immediate dello smart working ci siano anche seri rischi d’inefficienza e instabilità su cui occorrerebbe riflettere.