Ai fattori di preferenza tradizionali, quali il supporto dato dal personale di vendita, la possibilità di valutare e provare i prodotti, il ritiro immediato e, perché no, l’abitudine, se ne aggiungono altri d’importanza centrale. Sono il tempo, la personalizzazione spinta della relazione con il cliente, il tipo di servizio richiesto.
Nel primo caso, il tempo, s’impone la diffusione delle operazioni in modalità self. Oltre alle tradizionali barriere di self-checkout, occorre uscire dalla timida sperimentazione e promuovere un’ampia digitalizzazione dei touch-point. Etichette elettroniche e digital signage ne sono già una parte, le scaffalature intelligenti una prospettiva interessante, l’adozione del wi-fi gratuito, ormai, indispensabile.
Lo shopping journey, ora, va facilitato e incentivato in molti modi. Puntando su tecnologie consolidate (chioschi digitali e self-scanning), per esempio, e prestando grande attenzione al mobile self-checkout. Leggere il codice a barre del prodotto dal proprio smartphone, e pagare con un clic, cambia radicalmente l’approccio del cliente alla spesa. Nel mondo ci sono più abbonamenti a servizi mobile che persone, e l’alta pervasività del mezzo nella quotidianità è destinata a crescere ancora.
Il mobile self-checkout, peraltro, è già componente ineliminabile della personalizzazione spinta della relazione con il cliente. Dalla mediazione digitale con lo smartphone trovano alimento le campagne di mobile couponing, di fidelizzazione, il marketing di prossimità e, più in generale, ogni aspetto della comunicazione con il cliente.
Per alcuni settori, la “verticalizzazione” commerciale del cliente è già dirimente. Nel retail americano, per esempio, la metà dei consumatori si aspetta (e pretende) che, all’ingresso nel negozio, sia noto il proprio profilo di acquisto. L’obiettivo è chiaro: quel luogo come sede di un’esperienza gratificante, e non solo di soddisfacimento del bisogno immediato, valorizzando il tempo di permanenza e il contatto con l’assortimento. Altrimenti, si va altrove.