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Retail fase 2, non facciamone un equivoco

15/05/2020

Retail fase 2, non facciamone un equivoco

L’equivoco da evitare è presto detto: le saracinesche alzate del 18 maggio saranno soltanto un segnale di ripartenza. Non cambieranno, infatti, un’evoluzione del retail irreversibile, precedente alla crisi COVID ma da questa enfatizzata.

La fase 2, overo il riavvio di molte attività commerciali dopo due mesi di chiusura, per l’Italia inizierà lunedì prossimo, 18 maggio. Va detto che la situazione in casa nostra è tutt’altro che omogenea, viste le decisioni del consiglio provinciale dell’Alto Adige per la provincia di Bolzano e, in maniera diversa, della Sardegna (nei comuni con un indice di contagio uguale o minore di 0.5).

DIVERSITÀ E PROVVISORIETÀ

I punti fermi comuni a tutta l’Europa sono la ricerca della massima sicurezza e la consapevolezza della provvisorietà della situazione, legata alle successive misure delle conseguenze dei provvedimenti. Sull’applicazione di questi, non esistono orientamenti comuni e ogni paese procede secondo criteri propri.

La Francia è stata tagliata in due tra dipartimenti e regioni classificati in zone verdi o rosse. Quest’ultime presentano un grado d’allarme elevato, sia per i livelli di contagio che per la pressione sulle strutture ospedaliere. Nelle prime, invece, beneficeranno della riapertura alcune tipologie di commercio, esclusi i centri commerciali superiori ai 40 mila metri quadrati di superficie.

La fase 2 della Spagna esclude le due zone di maggiore importanza, Madrid e Barcellona, che resteranno ancora ancora sottoposte a severe restrizioni. Saracinesche alzate solo nei Paesi Baschi, in Galizia e in 6 province andaluse per i negozi al di sotto dei 400 metri quadrati, purché non all’interno di centri commerciali o parchi di medie dimensioni. A soffrire del provvedimento, soprattutto, la rete commerciale dei principali operatori fashion, come Mango a Inditex, che da lungo tempo hanno optato per punti vendita di ampia metratura.

La Germania ha deciso già dal 20 aprile la riapertura per la maggior parte dei negozi inferiori agli 800 metri quadrati.

Nel Regno Unito, la fase 2 inizierà dal primo giugno, ma subordinata all’evoluzione della pandemia nel paese. L’esecutivo di Boris Johnson non ha ancora dato, peraltro, indicazioni precise sulle merceologie interessate. Nulla di cui stupirsi, oltremanica si lavora al recupero del ritardo maturato. Le prime misure di contenimento sono state adottate, infatti, solo il 23 marzo.

DOPO IL LOCKDOWN

L’equivoco da evitare è presto detto: le saracinesche alzate sono soltanto un segnale di ripartenza. Non cambiano, infatti, un’evoluzione del retail irreversibile, precedente alla crisi COVID ma da questa enfatizzata. Il gruppo di e-shopper, molto accresciuto dai novizi del lockdown, ha fatto impennare gli indici di vendita dell’e-commerce e impone una revisione strategica del ruolo del negozio.

L’Italia ne è il primo paese interessato. Prima della crisi indotta dal COVID 19, le vendite online pesavano a malapena per l’8% del totale, a fronte di una media mondiale del 12-13% (il 20%, in UK) e in Cina già al 30%. I volumi realizzati nel lockdown non potranno certamente confermarsi nella stessa misura, ma altrettanto certamente si confermeranno sensibilmente superiori al periodo precedente.

Nella storia mondiale del retail esiste un precedente di grande interesse.  I colossi cinesi del commercio digitale devono buona parte della loro origine alla crisi SARS nel 2003. Aall’epoca, Alibaba era una piccola piattaforma, di recente costituzione, orientata esclusivamente al mercato B2B.  In quel momento, Jack Ma decise il lancio di Taobao, piattaforma consumer che in poco tempo scalzò eBay dalla leadership del commercio digitale in Cina. Storia simile per JD, un retailer di elettronica costretto a chiudere tutti i punti vendita e a impegnarsi sulle piattaforme chat cinesi, per diventare poi il colosso JD.com.

L’OMNICANALITÀ OBBLIGATA

Proprio l’e-commerce, d’altra parte, è stato la molla del cambiamento del negozio fisico, preferito ancora dal 70% dei cinesi, trasformandosi progressivamente da semplice punto di prelievo della merce a sede dell’esperienza d’acquisto. Dopo il lockdown, questo sarà il vero terreno di confronto dove vincere o perdere la partita.

Già da anni, la ristrutturazione del retail americano ha dato indicazioni chiare e ineludibili. Sotto l’ambiguità del termine “Retail Apocalypse”, che ancora occupa molta parte della cronaca vedendo nella pandemia la semplice accelerazione, è in realtà iniziata da tempo una nuova era del Retail. Le scelte fatte da alcuni grandi soggetti della distribuzione ne sono dimostrazione incontestabile.

Proprio l’emergenza COVID sembra avere convinto, traumaticamente, molti operatori della necessità di una relazione commerciale con il compratore unica e fluida, dove la digitalizzazione dell’intera supply chain, dalla logistica alla vetrina, gioca un ruolo fondamentale.

Meno negozi, probabilmente anche più piccoli, la garanzia di continuità tra off-line e online, una relazione tra retailer e cliente che non conosce punti di sosta o discontinuità. La tecnologia ne è premessa irrinunciabile. Virus,  o no.

Michele CapriniHead of content