“Circolarità” è una parola a rischio. Può essere usata per impreziosire chiacchiere sui media o in qualche evento pubblico, nell’ostentazione di scintillanti strategie di sostenibilità o, anche, come distintivo di un’area di opinione “alternativa”, incompatibile con la realtà o, nel migliore dei casi, circoscrivibile a nicchie moralmente remunerative quanto improponibili in una seria logica commerciale: un mercatino dell’usato in qualche centro storico, nella migliore delle ipotesi. Oppure, “circolarità” può essere intesa come caratteristica propria di un modo di consumo in larga espansione, dettato da necessità concrete e tale da incidere sensibilmente sul presente e sul futuro del retail. Noi, la vediamo così.