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Retail e circolarità: dopo, prima di tutto

26/04/2023

Retail e circolarità: dopo, prima di tutto

La “circolarità” è la caratteristica propria di un modo di consumo in larga espansione, dettato da necessità concrete e tale da incidere sensibilmente sul presente e sul futuro del retail. Sul lungo termine, il modello lineare di produzione e vendita non è compatibile con la prospettiva economica, sociale e ambientale. La progressiva transizione alla circolarità, nelle misure e nei modi possibili, è una prospettiva razionale che, nel generale orientamento del settore all’esperienza del cliente, centrale nel ciclo d’acquisto, si accompagna all’innovazione in una nuova offerta di valore.

“Circolarità” è una parola a rischio. Può essere usata per impreziosire chiacchiere sui media o in qualche evento pubblico, nell’ostentazione di scintillanti strategie di sostenibilità o, anche, come distintivo di un’area di opinione “alternativa”, incompatibile con la realtà o, nel migliore dei casi, circoscrivibile a nicchie moralmente remunerative quanto improponibili in una seria logica commerciale: un mercatino dell’usato in qualche centro storico, nella migliore delle ipotesi. Oppure, “circolarità” può essere intesa come caratteristica propria di un modo di consumo in larga espansione, dettato da necessità concrete e tale da incidere sensibilmente sul presente e sul futuro del retail. Noi, la vediamo così.

Lineare e circolare

Nell’economia attuale, le materie prime naturali sono utilizzate per produrre oggetti e servizi che si esauriscono, diventando rifiuti: il processo è lineare. L’economia circolare, invece, è un insieme di soluzioni sistemiche che affronta sfide globali come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, i rifiuti e l’inquinamento, disaccoppiando l’attività economica dal consumo di risorse limitate.

Sostenibilità, non per tutti

Al netto di superficialità e opportunismi, il tema della sostenibilità si è fatto, da tempo, importante per tutti i mercati. Il retail, naturalmente, è il ricettore primario del cambiamento dei comportamenti e delle aspettative della domanda. Alla comprensione del fenomeno, quindi, serve un corretto dimensionamento della disponibilità all’acquisto di prodotti e servizi sostenibili, al costo maggiore che comportano.

Secondo l’Osservatorio Nazionale di Lifegate, questa interessa quasi un quarto dei nostri connazionali, ma la percentuale arriva a sfiorare il 60% nel caso dei Millennials e della Generazione Z. Guardando alle aziende, peraltro, permane la convinzione sulla sostanziale equivalenza dell’impegno concreto e del marketing strumentale all’orientamento della domanda. La partita, insomma, è tra chi fa sul serio e chi bluffa.

Circolarità, come e perché

La scarsità di materie prime a livello globale, con la crescente pressione da parte di governi e consumatori per l’adozione di pratiche commerciali sostenibili, sta inducendo il settore manifatturiero e la distribuzione a ripensare radicalmente il modo di produrre e di vendere. L’economia circolare, non incentrata sul consumo di risorse limitate, si sta affermando come la via più breve e sicura all’eliminazione degli sprechi e alla ristrutturazione dell’offerta al mercato, incrociandone le sorti con le teorie e le pratiche ESG.

Sul lungo termine, il modello lineare di produzione e vendita non è compatibile con la prospettiva economica, sociale e ambientale. La progressiva transizione alla circolarità è una prospettiva razionale e, nel generale orientamento del settore all’esperienza del cliente, centrale nel ciclo d’acquisto, si accompagna all’innovazione, continuando a fornire valore. L’Unione Europea ha presentato, nel 2021,un nuovo pacchetto di proposte legislative a favore  dell’economia circolare. Nuove regole per rendere quasi tutti i beni fisici presenti sul mercato dell’UE più ecologici, circolari ed efficienti dal punto di vista energetico lungo tutto il ciclo di vita, dalla fase di progettazione all’uso quotidiano, al riutilizzo e alla fine del ciclo di vita.  In Italia, il Piano per la transizione ecologica (Ministero dell’Ambiente) ha per obiettivo un tasso di utilizzo circolare dei materiali pari almeno al 30%, entro il 2030, e la diminuzione del 50% della produzione di rifiuti entro il 2040.

Dopo

Per un retailer, questo significa comprendere nell’offerta prodotti realizzati con materiali riciclati, ripristinando i prodotti nella catena del valore, riducendo gli sprechi e la conversione di risorse in rifiuti. Per il consumatore, invece, questo può significare riparare un prodotto o acquistare prodotti usati anziché nuovi, prolungandone così il ciclo di vita e riducendo l’impronta di carbonio.

Storicamente, non si è mai pensato al ciclo di vita dei prodotti oltre lo scontrino. Eppure, questo “dopo” si fa sempre più importante, e non riguarda soltanto le fasi di approvvigionamento e vendita, ma pone il problema (drammatico, per certi versi) dell’intero ecosistema di riferimento. Al riguardo, recentemente, Il Post ha pubblicato un interessante approfondimento sulla fatiscenza dei centri commerciali, sui problemi indotti sul territorio e sulla mancanza, in fase progettuale, di una proposizione del riuso e del recupero ambientale. Il “dopo”, insomma, non solo per la vendita ma anche per i luoghi in cui si fa.

Dimensioni e prospettive

Secondo le stime di Statista, nel 2022 il fatturato mondiale delle transazioni dell’economia circolare, comprendente le categorie di beni di seconda mano, noleggio e ricondizionati, ammontava a circa 339 miliardi di dollari. Si prevede che questo valore sia più che raddoppiato entro il 2026, superando abbondantemente i 700 miliardi. Guardando al decennio, le stime della ricerca Opinium per conto di Visa valutano il peso della transizione verso un’economia circolare, per la sola Europa, in un’opportunità economica da 900 miliardi di euro.

L’Alleanza per l’Economia Circolare è costituita da 12 imprese italiane, leader in diversi settori produttivi, per un insieme di 134 miliardi di euro di fatturato, oltre 300.000 dipendenti e un network di fornitori di più di 100.000 soggetti. Secondo l’istituto, la circolarità, assunta come driver strategico, può sviluppare un potenziale enorme di investimenti e opportunità occupazionali. Questo, perché punta sul “mantenimento del valore dei beni e dei materiali, basandosi sui servizi, sulla manutenzione estensiva e sul recupero del valore, in cui il contributo del lavoro umano è rilevante”. Per la UE, entro il 2030, si reputa possibile un aumento del 7% degli investimenti, una riduzione dei costi del 10%,una diminuzione del 17% dei gas serra e una potenziale occupazione di 700.000 unità.

L’evidenza del fenomeno è data soprattutto nel settore della moda e dell’abbigliamento, dove è esploso il commercio dell’usato, portando con sé prospettive nuove per il comparto e nuovi paradigmi di relazione con il cliente, enfatizzati dal tramite digitale. Tutti i comparti del retail, però, devono considerare con attenzione la circolarità, perché questa gioca un ruolo importante nell’evoluzione della domanda. Anche la GDO dà segnali incoraggianti di sensibilità al tema e, se qualcuno si ostinasse a considerare questo commercio alla stregua di una fascinazione hippy, farebbe bene a osservare le dinamiche del mercato anche nel settore luxury.

Cosa fare

I brand e distributori devono, quindi, comprendere la circolarità nelle proprie strategie. Ripensando, quindi, le catene di approvvigionamento e la gestione della logistica inversa, un problema di dimensioni direttamente proporzionali allo sviluppo del commercio elettronico. La tecnologia, al solito, riveste un ruolo importantissimo. C’è una lunga lista di variabili da gestire: politiche globali e locali, regolamenti di spedizione, sanzioni, deteriorabilità delle merci, parassiti, eventi meteorologici. Per realizzare modelli di economia circolare, è necessario disporre di strumenti di pianificazione evoluti, in grado di combinare evoluzione della domanda, standard ESG e sfide globali.

Sono sei le fasi tipiche del processo circolare: design, produzione, approvvigionamento, distribuzione, uso, gestione del fine vita e dei rifiuti. Se il primo passo, tipico della produzione, è il design dei prodotti in una logica di circolarità, la catena di fornitura che porta un prodotto in negozio conosce molte e diverse fasi che, oggi, non sono finalizzate alla longevità delle merci. Può sembrare strano, ma occorre, per quanto concretamente possibile, considerare e trattare i rifiuti come una risorsa, non semplicemente un materiale a fine vita. La strada percorribile è la creazione di partnership ecosistemiche lungo l’intera catena di fornitura, adottando la catena di approvvigionamento circolare e la minimizzazione dei rifiuti nel processo di approvazione dei fornitori.

Circolarità e clienti

Incentivare i clienti a portare un articolo in negozio, per riacquistarlo o consegnarlo per il riciclaggio o in permuta per un nuovo acquisto,  è una pratica in larga diffusione, così come la diffusione di informazione attendibili ai consumatori sulla durata di vita e riparabilità dei prodotti. Questa evoluzione dell’offerta va di pari passo con l’evoluzione della domanda, che cerca di superare la semplice funzione d’uso dei prodotti. Ne deriva un’esperienza del cliente radicalmente diversa, che aumenta la competitività dei retailer che la promuovono.

Guardando alla moda e all’elettronica di consumo, in particolare, non mancano i brand di prima grandezza impegnati a promuovere la circolarità. Il negozio, peraltro, è il primo passo di una pratica di riciclo di doppio valore: da un lato,  la riduzione dei rifiuti e, dall’altro, il vantaggio economico dato dalla possibilità di rinnovare e riciclare i prodotti. H&M, per esempio, dichiara di volere utilizzare, entro il 2030, il 100% di materiali riciclati per i suoi capi di abbigliamento. Vodafone, in partnership con WWF, propone un ciclo d’acquisto in quattro fasi: trade-in, ricondizionamento e rivendita, riparazione e riciclo. Il piano di Dell è ambizioso: entro il decennio, s’impegna, per ogni dispositivo acquistato dal cliente,  a riutilizzare o riciclare un prodotto equivalente.

È forte, poi, l’orientamento al “diritto alla riparabilità”, per contrastare l’obsolescenza prematura dei prodotti e per rafforzare la personalizzazione del prodotto, di grande efficacia per la relazione con il cliente (un esempio per tutti, Levi’s tailor shop). Coerentemente a una marcata propensione della domanda internazionale all’uso più che alla proprietà dei prodotti, in diversi settori non food l’offerta rental procede spedita con i sistemi di fidelity. Appena annunciata, poi, la proposta sul recommerce di VISA  sui   modelli commerciali rigenerativi (rivendita, riparazione e noleggio) non poteva che enfatizzare attrattività e competitività del commercio circolare.

Circolarità e innovazione

Inflazione, riduzione del potere d’acquisto e percezione sempre più chiara delle emergenze ambientali spingono alla revisione delle abitudini di acquisto in chiave sostenibile. La circolarità, peraltro, spinge tutte le filiere verso l’innovazione. Il retail circolare pone la sostenibilità al centro di tutte le operazioni, con un sostanziale ripensamento del modello tradizionale di distribuzione. Opportunamente integrato e veicolato nel contesto digitale, cambia significativamente l’esperienza del cliente e rappresenta una grande opportunità di ridurre i costi, ingaggiare nuovi clienti e aumentare le vendite.  Questo, naturalmente, oltre alla partecipazione di una enorme responsabilità comune. Vale per chi vende e vale per chi compra. Vale per tutti.

Michele CapriniHead of content