Va detto che per Forever 21, come per altri brand, ha pesato non poco la crisi dei centri commerciali, dove tradizionalmente i marchi fast fashion contano una parte significativa della propria rete di distribuzione. Ma è anche vero, peraltro, che non per forza i fatturati debbano decrescere in modo proporzionale al numero dei negozi, e che la profittabilità ne sia inevitabilmente penalizzata. Uniqlo ne è, in qualche modo, la dimostrazione. Fast Retailing, infatti, punta a un network di 3.700 punti vendita entro l’agosto 2020. Solo un centinaio in meno di Gap, ma non sono i 5.000 di H&M né i 7.000 di Inditex.
Per McKinsey, dal 2000 a oggi il numero di capi acquistati in un anno dalla singola persona è aumentato mediamente del 60%. Ma la sproporzione tra APAC e occidente è sempre più marcata, a nostro sfavore. In tutto il comparto della moda, i modelli di distribuzione sono decisivi e puntano alla post canalità. Se è vero che nel 2019 il FF avrà coperto il 66% del traffico online dell’intero settore, non serve neppure più spendere molte parole per il successo delle ibridazioni, sempre che tali possano essere chiamate.
Il caso di Zalando, e-retailer per definizione, è lì a fare scuola: 70.000 partner sul territorio entro i prossimi cinque anni, per aumentare le vendite e ridurre i problemi di stock. E chi, meno di un mese fa, ha partecipato l’evento milanese di Retex, si sarà reso conto di quanto la tecnologia può essere decisiva nel disegno dei nuovi formati del negozio.