L’aumento delle vendite online, pur nei diversi andamenti locali (+38% in Italia, quest’anno), rende prioritario, in tutto il mondo, il problema della redditività dell’eGrocery.
Da semplice canale aggiuntivo di un retail storicamente ancorato ai supermercati, l’eGrocery diventa un impegno imprescindibile, per le dimensioni e per l'importanza della relazione con il cliente. Va trovata rapidamente, però, una soluzione alla debole, e più spesso inesistente, redditività delle operazioni online, proprio mentre la domanda cresce e non può essere elusa.
L’aumento delle vendite online, pur nei diversi andamenti locali (+38% in Italia, quest’anno), rende prioritario, in tutto il mondo, il problema della redditività dell’eGrocery.
Secondo Marc-André Kamel, leader del gruppo globale retail di Bain, “Quando la vendita online era una piccola percentuale del mercato complessivo – dall’1% al 2%, per esempio, nella Germania pre-pandemia – non importava a nessuno”.
Chi opera con i supermercati sperava in una crescita più lenta del fenomeno, per consolidare un modello operativo sostenibile; l’eGrocery, infatti, si aggiunge ai costi già sostenuti per le vendite in negozio, i cui margini, mediamente, non superano il 4%. Ora, ha bisogno di trovare rapidamente una soluzione alla debole redditività delle operazioni online, proprio mentre deve aumentarne la capacità per soddisfare la crescita della domanda.
Le economie di scala sembrano aiutare, le aziende con grandi volumi di vendite online hanno maggiori probabilità di essere redditizie. Ma il fattore decisivo è la capacità di trovare l’equilibrio nei fattori più importanti di profitto e perdita, quali i costi della catena di fornitura e dell’ultimo miglio, le spese commerciali e promozionali, gli investimenti in un marketing coerente alla modalità di vendita e alla nuova relazione con il cliente.
Il business tradizionale dei supermercati non è certo orientato all’eGrocery e al prelievo rapido; meglio vedere i clienti vagare per corridoi e scaffali, pronti agli acquisti d’impulso. Il peso crescente della domanda online, però, non può essere ignorata e va soddisfatta di conseguenza.
A lungo, il retail si è mostrato riluttante verso il commercio digitale. La bassa quota di business, le alte barriere all’entrata, il costo delle operazioni ancora più alto. Senza adeguata crescita della domanda da parte dei consumatori, non c’era ragione valida a spostarsi dal business consolidato dei negozi. Nel 2001, la spesa online era considerata un canale aggiuntivo; oggi, i termini del problema sono cambiati e non riguardano soltanto la movimentazione della spesa, ma la natura della relazione con chi compra.
Nelle prime esperienze su larga scala, per di più, i retailer sono stati scoraggiati dalle misure dell’investimento e dalle evoluzioni tecnologiche necessarie all’eGrocery. Un buon esempio, sempre di vent’anni fa, va cercato nel fallimento di Webvan, che segnò profondamente il mercato americano. Oggi, peraltro, le decisioni da prendere non possono essere intese quale rimedio a un’emergenza, ma a supporto di una strategia.
I costi diretti del servizio di consegna sono evidenti a tutti, e implicano una varietà di fattori, dalla strutturazione dei centri di raccolta e stoccaggio alle gestione dei carichi e dei mezzi di trasporto, dalla gestione dei percorsi al packaging della merce. E dipendono, naturalmente, dalla distribuzione e dal bilanciamento delle risorse e dei tempi sui vari servizi.
I retailer possono puntare alla gestione diretta di magazzini grandi e centralizzati fuori dai centri urbani, dove gli ordini vengono evasi e i pacchi spediti ai punti di raccolta. Oppure alla predisposizione di spazi adatti presso i supermercati più vicini al cliente; o, ancora, procedere a consistenti investimenti sulla logistica che, naturalmente, non sono alla portata di qualsiasi business.
Interessante, in questo senso, l’esperienza di Ocado, un rivenditore online “puro”, attivo dal 2000 senza rete di distribuzione fisica, con quasi 800.000 clienti abituali. Il suo customer fullfillment center è uno dei più sofisticati al mondo, in grado di gestire molte decine di migliaia di ordini a settimana. Per questo, altri player mondiali della grande distribuzione ne utilizzano su licenza le tecnologie, per strutturare la propria logistica.
Le ideologie diffuse a piene mani sul “quando vuoi, come vuoi” o sulla “spesa a casa tua entro dieci minuti” condizionano pesantemente, e in modo deviante, le aspettative dei consumatori su un punto di sofferenza tipico dell’eGrocery, la consegna a domicilio. Indipendentemente dal fatto che un retailer scelga il picking manuale o la migliore soluzione automatizzata, quel carrello, a oggi, sarà sempre in perdita. Non si tratta solo di costi: come in tutto l’eCommerce, le tariffe non li coprono. Vanno quindi creati nuovi flussi di entrate e valorizzato adeguatamente il valore del servizio.
La progettualità, comunque, deve tenere conto dell’irreversibilità di questa tendenza del mercato e, quindi, va sempre orientata in senso strategico. “Quando un cliente passa per la prima volta all’online, di solito ci vogliono tre o quattro anni prima che la redditività di quel cliente sia la stessa di quando fa acquisti in negozio”, dice Rodney McMullen, CEO dell’americana Kroger (2700 supermercati, 121 miliardi di dollari di ricavi). “Ma quello che otteniamo è una quota significativamente più alta della spesa totale della famiglia di quel cliente”.
L’esternalizzazione delle consegne si è resa necessaria nell’immediato e, però, rappresenta un grande rischio sul medio e lungo termine. Steve Hornyak, oggi manager di Brightdrop, un’azienda impegnata nella progettazione di camion elettrici per l’ultimo miglio, un anno fa ebbe a dire “Se un retailer crede che Instacart (la più importante azienda americana di consegna del cibo a domicilio, ndr) sia una soluzione strategica per l’eCommerce, allora sta proclamando la morte della sua azienda, consegnando le chiavi del suo business a una società terza di dati e tecnologia“.
Mentre il rischio è evidente, i distributori più grandi sono concentrati sulla riduzione della loro dipendenza dalle piattaforme di terze parti, quanto mai pericolosa dopo il picco pandemico, e prevedono che entro il 2025 solo una quota minore degli ordini online sarà veicolata tramite piattaforme esterne. I distributori con minore capacità finanziaria, tuttavia, dovranno accettare la relazione con queste piattaforme, elaborandone i modi più opportuni di migliorare i margini o, almeno, di contenere le perdite.
L’eGrocery sarà sempre più importante, in futuro. Per la redditività, si dovrà mettere mano a tutto l’ecosistema di distribuzione, dalle proprie infrastrutture alla relazione con i partner, dall’estesa innovazione tecnologica alle politiche commerciali.
Se i volumi di vendita potranno avvicinarsi al 15% del valore globale, ogni retailer potrà migliorare la redditività con i metodi più consoni alla propria presenza, al proprio target e alla propria storia. Incoraggiando panieri più grandi, riducendo l’assortimento di referenze online per consentire un prelievo più veloce da centri di più piccoli e concentrarsi su prodotti con un più alto giro di inventario, offrendo abbonamenti.
Sono solo esempi e non sta a noi, certamente, dire quali siano le scelte più opportune. Ma un concetto è tanto semplice, quanto importante: l’eGrocery sta diventando il luogo in cui si costruisce il marchio e ci si connette con il consumatore: non si può tornare indietro, barricandosi dietro il volantino. Sarà impossibile prescinderne.