Di conseguenza, i brand, gli inserzionisti e i marketer digitali intrecciano gli ambiti d’intervento, in un contesto in cui l’efficacia della comunicazione al consumatore deve fare i conti con la giusta, e problematica, allocazione dei budget. Proviamo a riassumere lo spirito del momento in questo modo: da “entra in negozio e compra da me, oggi” a “entra in negozio o sul sito, fai un’esperienza diretta, costruisci la tua lista dei desideri, mettila sul tuo smartphone, seguici dappertutto e torna da noi, dove ti pare”.
I retailer siedono sul patrimonio dei dati sugli acquisti e possono scegliere se puntare, o no, sui propri canali. I marketplace contano sul numero di clienti e sulle dimensioni del traffico, nel quale i brand sono un elemento di richiamo e possono godere del privilegio di promozione su vaste platee di utenza, non raggiungibili in altro modo. Chi fa pubblicità deve modellare il proprio intervento sul comportamento online dei consumatori, combinando il dato demografico con quello comportamentale e con le specificità del momento e del luogo.
Il digital marketing sembra una possibile sintesi di tanta complessità. Alle velocità, compulsioni e, spesso, irrazionalità del customer journey risponde con l’interazione diretta con il cliente (che c’è, non c’è più o ci sarà) e la tempestività dell’intervento, negate dal marketing e dalla pubblicità nelle forme tradizionali. Meno pianificazione, meno mediazione, più immediatezza, autonomia e governo dell’azione commerciale: il retail, adesso, passa da qui. Questo riguarda siti web aziendali, applicazioni mobili, presenza sui social media, motori di ricerca, pubblicità, automazione delle e-mail, proposizione diretta o indiretta sui marketplace.
Ma…c’è un “ma”.