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Crisi presunta, innovazione reale

16/11/2022

Crisi presunta, innovazione reale

Il mondo ha riaperto, le eccezionali fortune maturate nella pandemia dall’eCommerce non potevano trovare facile replica. Il comparto tecnologico mondiale sta ancora pagando la crisi della catena internazionale di approvvigionamento, di cui non è ancora facile prevedere i tempi di ripristino. Inoltre, l'economia sta soffrendo, rallentata dall'inflazione, dalla guerra (e dalle minacce di estensione di quella) e dalla diffusa incertezza sul futuro. Considerando il momento e i timori di recessione, un rallentamento è più che normale. La centralità della tecnologia nella competizione, peraltro, è fuori discussione e, anzi, cresce la domanda di talenti e professionalità utili allo scopo. I mercati internazionali confermano che la differenza tra sviluppo e perdita di competitività è riassumibile in un semplice concetto: l’innovazione si fa o si subisce.

“Crisi” è il timore, se non la parola, ricorrente nelle cronache internazionali sulle difficoltà del comparto tecnologico e, segnatamente, di alcuni dei suoi brand più importanti.

Brand in affanno

Non sono pochi i leader di mercato che vivono un momento difficile. Se la vicenda di Twitter è nota (e deprecabile, nelle forme prese dal pirotecnico Elon Musk), a questa si aggiunge la decisione di Meta di liberarsi del 13% della forza lavoro (circa 11.000 dipendenti), motivata da utili dimezzati, diminuzione dei ricavi, aumento dei costi e conseguente record negativo in borsa.

Sintesi perfetta delle premesse che spingono anche altre aziende a ricorrere prima al blocco delle assunzioni e, poi, ai provvedimenti di licenziamento più o meno drastici. Anche Amazon deve fare i conti con le difficoltà del momento, come Intel e Microsoft. La contingenza negativa ha coinvolto anche altri leader dei mercati online, come Groupon, Peloton e Uber, che hanno tagliato migliaia di posizioni. E ce n’è anche per il più rumoroso newcomer degli ultimi anni, TikTok.

L’Italia è toccata dal fenomeno in modo marginale, interessando in misura minore Meta-Facebook e altri soggetti. Vale la pena ricordare, comunque, il bluff di Gorillas che, dopo avere battuto la grancassa sui destini radiosi nel food delivery, ha chiuso i battenti a luglio, dopo un solo anno di attività, lasciando a casa 540 dipendenti.

Crisi?

Proprio il caso di Microsoft esemplifica la necessità di un approccio più equilibrato al tema e di una maggiore prudenza nel parlare di “crisi”. Può colpire il fatto che l’azienda di Satya Nadella ha tagliato mille dipendenti a ottobre, ma la forza lavoro complessiva è, comunque, aumentata. Al 30 giugno, Microsoft contava 221.000 dipendenti; erano 181.000, un anno prima. Quanto ad Amazon, i numeri del fatturato, dal 2019 alla chiusura dal terzo trimestre 2022, sono espliciti: da 280 miliardi di dollari a 502 (eMarketer). Vale la pena rilevare, peraltro, che, a differenza di Meta e Alphabet, Amazon ha visto crescere la pubblicità del 25%, anno su anno.

Il mondo ha riaperto, le eccezionali fortune maturate nella pandemia dell’eCommerce non potevano trovare facile replica: dal 2019 a oggi, nel mondo, i ricavi sono cresciuti da 3000 a 5000 miliardi di dollari (*). In Cina la quota digitale sul commercio globale è arrivata al 27%, negli Stati Uniti al 20% e in Europa al 17% (nel Regno Unito, addirittura al 30%), rispettivamente; la sonnacchiosa Italia è arrivata, finalmente, a superare la soglia del 10% (**).

Nessuno stupore, quindi, se i tassi di crescita ne hanno risentito. Per le difficoltà, reali, di qualche leader di mercato, è comprensibile la tentazione (niente più di quella, però) di parlare di crisi, ma non si può invocarne l’imprevedibilità. Decisivo, peraltro, il mutamento della scena internazionale, che ha conosciuto la guerra in Europa, un difficile contesto economico globale e la crisi (vera) della catena mondiale di fornitura. Ciò nonostante, nelle scosse di assestamento del comparto, la domanda di nuove posizioni nel settore cresce regolarmente, a testimonianza dell’irreversibilità del processo di trasformazione digitale in ogni ambito del mercato mondiale.

Generalizzazioni e specificità

Le generalizzazioni, e il clamore inevitabilmente indotto dalle vicende dei brand più famosi,  distorcono la corretta percezione del momento. Le difficoltà reali del business specifico dei soggetti in “crisi”, se tale, vanno misurate con le alterazioni del contesto globale. Nel caso di Intel, la domanda di personal computer è in calo di almeno il 20%, quest’anno: per le ragioni globali appena accennate, non per altro. Nel caso di Meta-Facebook, invece, la negatività più pesante, per molti analisti, è il metaverso. Zuckerberg non solo ha confermato l’impegno verso la “mixed reality” digitale, ma ha messo a piano ulteriori sforzi, nonostante Reality Labs di Meta abbia già accusato perdite superiori ai 9 miliardi di dollari, solo quest’anno.

Scommessa giusta o sbagliata, meta-aspettative sovradimensionate? Si vedrà: la storia della tecnologia, in fondo, comprende un numero infinito di crisi in cui, nel bene e nel male, ciò che avrebbe dovuto essere non è stato. L’innovazione tecnologica non ha, né può avere, un flusso lineare e continuo, ed è bene coglierne il progresso e la portata nel tempo, svincolando l’attenzione da quella prestata ai protagonisti. Nel 1997, Apple veniva data, dai più, per spacciata: abbiamo visto com’è andata a finire. Ma, nel caso, ci saremmo persi l’iPhone? No, neppure. A Napster è stato imposto di chiudere i battenti, nel 2001, ciò non toglie che, in un biennio soltanto, quell’ idea di file sharing ha cambiato per sempre l’industria musicale, il copyright e la condivisione online. Senza Napster, non ci sarebbe Spotify.

La sindrome dell’allarme

Il comparto tecnologico mondiale sta ancora soffrendo la crisi della catena internazionale di approvvigionamento, di cui non è ancora facile prevedere i tempi di ripristino. Inoltre, l’economia sta soffrendo, rallentata dall’inflazione, dalla guerra (e dalle minacce di estensione di quella) e dalla diffusa incertezza sul futuro. Considerando il momento e i timori di recessione, il rallentamento è più che normale, fino alla prossima ripresa globale. È bene orientarsi sulla prospettiva, inoltre, quando la sindrome dell’allarme si estende, addirittura, a paralleli inquietanti con la bolla delle dot-com del duemila. E quella, sì, fu crisi davvero, che segnò il collasso di brand come AOL e Yahoo che, fino a quel momento, “facevano” il web. Ma, contemporaneamente, segnò l’inizio della fortuna dei giganti big tech di oggi, da Google a Facebook.

Nel ventennio alle nostre spalle, una seconda flessione si è verificata nel 2008-2009, con la crisi immobiliare. Allora, i titoli del settore subirono un duro colpo e, immancabilmente, ci furono profeti di sventura a sostenere la fine della spinta propulsiva della tecnologia nel nostro mondo. Tuttavia, nel giro di due anni, i titoli tecnologici rimbalzarono, sostenuti da nuovi servizi basati su internet, i social media avviarono una progressione inarrestabile, la trasformazione digitale s’impose come obiettivo strategico delle aziende più importanti.

Innovazione da fare, o da subire

La centralità della tecnologia nella competizione, peraltro, sembra ben lontana da dubbi di sorta in chi deve misurarsi, senza pause, con l’innovazione digitale. Negli Stati Uniti, in particolare, gli esuberi (pessimo termine dell’aziendalese, va detto) dei colossi tecnologici costituiscono un esercito di competenze qualificate su cui tutti gli altri comparti produttivi stanno pescando a piene mani per i loro sforzi. Non a caso, “la Repubblica”, in questi giorni, parla di una  “redistribuzione dei talenti” senza precedenti.

Evidenza in più di una tendenza generale che, nel Technology Report 2002 di Bain, quantificava le aspettative di crescita del budget IT nel mondo, dall’aprile 2020 al maggio 2022, dal 44% al 75% e al 90%, rispettivamente. Guardando al nostro paese, invece, il recente Rapporto Assintel, presentato il 19 ottobre scorso, così fotografa la realtà italiana:…un mercato che supera i 36 miliardi di euro annui considerando l’intero comparto ICT. Il Software cresce del 10%, l’Hardware del 6,4% e i Servizi IT del 6,2%.

 Al di là delle stime numeriche, l’importanza dell’innovazione tecnologica va recepita in sé, non con l’andamento delle borse o le fortune del singolo brand. Oggi, più che mai, il piede va messo sull’acceleratore, non sul freno: attese e incertezze possono essere fatali.

Nel retail internazionale, nostro ambito d’intervento, i leader di mercato intendono la tecnologia come motore, e non accessorio, della distribuzione, fino al punto di parlare di “retail tecnocentrico”. In fondo, fin dai tempi del primo registratore di cassa e dell’avvento del barcode, per arrivare alle casse automatiche, all’eCommerce e al metaverso, la differenza tra sviluppo e perdita di competitività è riassumibile in un semplice concetto: l’innovazione si fa o si subisce.

(*)  Stime Statista

(**) Stime Osservatori.net

Michele CapriniHead of content