La pandemia ha esteso, imprevedibilmente, la portata dell’innovazione digitale alla quotidianità e al lavoro di miliardi di persone nel mondo. L’evoluzione del nostro mondo va ripensata e governata in termini digitali: l’etica che la informa ne è parte irrinunciabile.
Combinare la ragione d’essere di un’azienda con il suo ruolo sociale non è cosa di poco conto. Non è insolito che i principi e i valori etici entrino in conflitto reciproco o con le necessità del business. Trovare gli equilibri tra efficienza e discriminazione, o tra produttività e sostenibilità ambientale è tutt’altro che semplice. E se, per esempio, le tecnologie sono il tramite migliore di un equilibrio nuovo tra società, economia e ambiente, per molti l’indisponibilità di queste, il cosiddetto digital divide, è un limite all’accesso a diritti fondamentali.
Nel 1970, Milton Friedman su New York Times sanciva il concetto che avrebbe poi segnato il confronto sulla corporate governance nei decenni successivi: “La responsabilità sociale delle imprese è aumentare i profitti”. Oggi, invece, in una società digitale globale in costante evoluzione, i principi e i valori che regolano l’uso delle tecnologie sono decisivi nella relazione con l’ampio gruppo di stakeholder coinvolti (dipendenti, azionisti, clienti, fornitori, soggetti territoriali, autorità, società civile).